un mondo fuori da noi


Sono cresciuta in una famiglia di sole donne: nonna, mamma e sorella. Un delirio di relazioni, dialoghi, conflitti e confronti, nonché passione, amore e parole. Un iperbole di conoscenza umana impressionante, un educazione fatta di riflessione e di racconti, un mondo di persistente modus operandi rivolto verso la coerenza e la compatibilità. Una matrilinearità eccezionale le cui uniche  carenze erano nel contenimento, o troppe o niente.

Mio padre invece era poco presente, partecipavo solo sporadicamente ai riti della sua famiglia di origine; un patriarcato fondato su valori importanti, la solidità della struttura e dei ruoli, le capacità riconosciute, sopratutto dei maschi, e l'ampietà della famiglia di tutte le età ha costruito un parco di emozioni e di affiliazione ampio. Unico difetto, forse, è la dispersione, siamo tutti un pò più lontani dal punto di origine ma affezionati gli uni agli altri.

Partendo da un punto di empatia notevole ho avuto modo di poterla coltivare nel corso delle mie esperienze, sviluppare un abilità sociale che mi è stata trasmessa in forma educativa. Devo aggiungere che ho letto Watzawlick e la Pragmatica della comunicazione; ho Letto Freud, Lacan e Sennet, ho studiato antropologia e sociologia; ho fatto due affidi e molto volontariato. L'empatia non è una dote intrinseca nel Dna ma un abilità che si impara. Lo posso affermare con una certa sicurezza. Importante non essere autocentrici con deliri di personalità oscure, altrimenti lo sforzo non ottiene successo.

C'è un mondo fuori da noi che ci appartiene ed è più simile che dissimile, partendo da noi e dalle nostre fragilità possiamo entrare in relazione con la fragilità degli altri, con le modalità che vengono utilizzati per proteggersi e rassicurarci, possiamo anticipare e muoverci un po' meno da elefanti in un negozio di chincaglieria.

Abbiamo bisogno di alleanze, di ritrovarci nello sguardo dell'altro, di sentirsi meno soli in una società dove la famiglia diventa sempre più piccola e dove iniziano a mancare quelle sicurezze economiche continuative che hanno caratterizzato gli ultimi anni del '900; abbiamo bisogno formare reti di persone che collaborano tra di loro, che si sostengono e che si affiliano; abbiamo bisogno di sviluppare un nuovo concetto di possesso che non riguarda più il denaro ma il bene di vivibilità; dovremmo cercare di capire che l'importante è come si vive e non quanto si vale in termini di potere.

Cerchiamo di perderci negli sguardi dell'altro, nell'ascoltare la loro voce, nell'abbracciare i loro corpi.

In questo internet global world possiamo estendere questa nostra empatia attraverso una rete complessa e virtuale ma effettivamente valida e concreta nell'estendere messaggi rapidamente verso luoghi prima non raggiungibili, dobbiamo capire che la nostra responsabilità è nell'uso di questo mezzo, nell'estendere il senso di comprensione.

Finchè non smettiamo di vedere i fatti che ci coinvolgono come unicità e non come immersi in un complesso sistema di vasi comunicanti, non approderemo a niente. Empatia e collaborazione sono le parole di uscita, se non le attiviamo in crescita dentro di noi, il rischio è l'estinzione dell'umanità in tempi brevi.


A un certo punto ci renderemo conto che condividiamo lo stesso pianeta, che siamo tutti coinvolti e che le sofferenze dei nostri vicini non sono diverse dalle nostre. La civiltà dell'empatia è alle porte. Stiamo rapidamente estendendo il nostro abbraccio empatico all'intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta, per questo ci servirà una coscienza biosferica. (Rifkin)


Educare alle interazioni non giudicanti e al riconoscimento dell'unicità del contributo di  ciascuno non può che stimolare e rafforzare il coinvolgimento empatico nelle nuove generazioni.

Non perdiamoci in una ricerca personalizzata verso una vacua felicità che non riusciamo a immaginare, stringiamo la mano del nostro vicino e camminiamo verso un futuro paritario e vivibile.


Non fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te.

 

Uno è tutti

 

In fin dei conti siamo tutti figli di quella prima donna che cammina lentamente sulla riva di un lago in Africa con in braccio un bambino, portando con sè una mucca e una capra.