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Ogni giorno, ogni piccolo minuto dell’esistenza è composto da secondi di opere compiute, che sommate insieme formano, l’uno sull’altro, la struttura del nostro essere. Per questo la realtà non sembra una sostanza oggettiva e ben definita, il suo formarsi è un insieme di gocce uniche che appaiono come, un immenso oceano di eventi, omogeneo nella sua forma apparente ma particolare nella sua essenza.

I giorni, i mesi e gli anni passano come fiumi che attraversano le montagne e non ci accorgiamo della strada che abbiamo percorso; poi una mattina, dopo un violento temporale, ci rendiamo conto che non siamo più quelli dell’origine e il mare già ci attende a poco, la pianura con la sua quiete ci tiene compagnia da molto tempo, eppure sentiamo che possiamo ancora esplorare nuovi porti e portare barche diverse, sentiamo che possiamo ancora essere vivi e non desiderare solo di arrivare al mare. Da bambina passavo ore, sugli scogli a guardarlo, affascinata dall’infinito che si pone in esso, mi perdevo nell’immaginare l’orizzonte, osservare le navi che scomparivano lontano. Il mare come immenso mondo, profondo come un abisso al cui interno mi perdevo, nell’inconcepibile nozione per una bimba, mi rifugiavo nell’orizzonte che davanti a me portava un immaginario di terre.

Cercavo la mano di mia madre e accanto a lei sostenevo il desiderio di comprensione di una naturalità sconosciuta, il mare ed il vento, il mare e la violenza, il mare e l’odore della salsedine, il mare e la vita che intorno e dentro vi si trova. Mano nella sua mano, imparavo a prendere distanza dagli elementi troppo grandi, troppo vasti tanto da perdersi e sentirsi troppo soli, così rivolgevo lo sguardo verso le montagne che mi garantivano un senso di sicurezza millenaria, giganteschi terrosi fermi da secoli, dominatori del realismo storico, dove ogni passo diviene fatica ma lo sguardo ne coglieva il limite del mondo, sempre visibile e conoscibile, sia nel macro che nel micro cosmo, che nel suo interno vive. Giovane donna conoscevo un mondo diverso dall’infanzia.

Mio padre mi mise in barca quando ancora le parole si trovavano dentro il mio cuore e mi lasciò navigare da sola, indicandomi una strada tra le stelle e se ne andò verso la pianura a tacitare le sue passioni e la sua giovinezza, mia madre si allontanò nei vicoli stretti e angusti della metropoli, mia nonna perse il respiro un giorno di settembre e mia sorella lasciò il suo futuro ed il suo cuore sotto due metri di terra.

Approdai nel porto e lasciai la mia barca ormeggiata per il tempo che impiegò a  prendere l’aspetto di un vecchio arnese, troppo stanco per affrontare il mare aperto, pronto per la demolizione, come molti mi consigliavano, ma era la sola cosa che possedevo; così decisi di sistemarla, era tornato il tempo di navigare, assaporare il sapore della solitudine, sentire il vento insinuarsi tra i capelli e sciogliere i nodi che la legavano agli ormeggi. Fu la paura a fermarmi, a mettermi un senso di angoscia e porre un certo freno al mio desiderio. Quel senso, non piacevole, che riempiva il mio cuore di piccoli tremolii e lasciava la mia mente inceppata davanti alle scelte; abbandonare il pacato camminare sicuro tra vicoli terrosi, dove ogni sguardo era conosciuto e l’incontro portava complicità costruite nel tempo in un lento e metodico svolgersi dei soli e delle lune all’orizzonte; lasciare la struttura quasi completata del percorso di vita e perdere tutto quello per cui si fatica, nell’esperienza e nello sguardo, nel profondo di noi, continuare e sperare nel suo divenire, una realtà  ancora docile fra le nostre dita e ancora una volta comprendere il senso di quegli eventi, così tragici nell’intimo.

Salpiamo, mi dicevo, ed il vecchio conoscitore di anime diceva: “ Sei sicura? … Non ce la farai mai!”

“ E’ così che si demoralizza la gente, si guarda negli occhi e le si predice il futuro, il più nefasto che possa accadere, la si tiene sotto il gioco dell’insicurezza e magari, così per folclore, si citano i mostri marini che popolano gli abissi e se questo non basta, si prendono ad esempio i dispersi, gli affogati, gli storpi e gli inabili.”

“Fai come vuoi testarda, lo sei sempre stata, la vedi a modo tuo, ed io non posso certo dirti che il mare resterà un olio, lo sai anche tu, le tempeste arrivano improvvise e sapergli tenere testa è per pochi marinai, non sei una bambina. Se ti dicessi che sarà la più bella passeggiata della tua vita, ti direi solo il falso, e tu lo sai, se la barca si rovescia mi accuseresti di non essere stato leale con te, ed io ti conosco fin nel profondo e non voglio illuderti.”

Il vento si alzò e all’orizzonte il cielo s’incupì.

“ Me ne vado, torno domani … se potrò!”

“ Torna quando vuoi, io sono sempre qui, vicino al mare a custodire i segreti dell’umanità.”

Lo guardai, feci un cenno con la mano e iniziai a camminare, un passo dietro l’altro senza fermarmi, poi un pensiero, mi giro e guardo il vecchio lontano, seduto vicino al mare e con un cenno lo saluto ancora una volta, ma lui non si muove e sento il vento portarmi l’eco delle sue parole … lo sai anche tu … lo so, lo so, lo so così bene che non riesco a decidermi.